Aula Magna della Rubiconia Accademia dei Filopatridi
Domenica 14 aprile 2019 alle ore 10.00
FABIO ISMAN
Giornalista e Scrittore
parlerà sul tema
L’ITALIA DELL’ARTE VENDUTA
COLLEZIONI DISPERSE CAPOLAVORI FUGGITI
FABIO ISMAN
Nasce a Monza da una famiglia triestina e dal 1970 abita a Roma. Ha esordito nel 1964 all’Eco di Monza e della Brianza. Nel 1968 è entrato nella redazione de Il Piccolo di Trieste e nel 1969 è passato a Il Gazzettino di Venezia, da cui si è dimesso il giorno in cui è stato licenziato il direttore Alberto Cavallari.
Dal 1970 al dicembre 2009 ha fatto parte della redazione de Il Messaggero di Roma, dove è stato inviato speciale e, per due volte e a lungo, capo dei servizi italiani.
Nel 1980, Isman finì in carcere per aver pubblicato su Il Messaggero alcuni estratti dei verbali d’interrogatorio di Patrizio Peci, il primo “brigatista rosso pentito”.[1] Ci rimase per 131 giorni, prima di essere assolto in appello con formula piena (presidente Mancuso).
Dopo essersi occupato per decenni di politica, scandali politici, processi e terrorismo, ed aver seguito importanti eventi in Italia e all’estero, due guerre in Medio Oriente, e l’elezione di due papi, da trenta anni scrive soprattutto di arte e cultura, anche al di fuori del nostro Paese, argomenti ai quali ha dedicato numerosi libri e pubblicazioni. Da sei anni, è particolarmente attento al saccheggio dell’archeologia clandestina in Italia, che dal 1970 ha portato allo scavo illegale di oltre un milione di pezzi, uno e mezzo secondo calcoli dell’Università di Princeton, coinvolgendo circa diecimila persone.
Per dieci anni, è stato titolare della rubrica “La pagina nera” su Art e Dossier che, dopo una pausa di altri dieci, ha ripreso nel 2010; è collaboratore, inoltre, de Il Messaggero, e di diverse altre testate periodiche, specializzate nel settore dei beni culturali, come Il Giornale dell’Arte, The Art Newspaper e Bell’Italia, dove è titolare della rubrica “Fuoriluogo”.
Dal 1. aprile 2013 al 31 marzo 2014, è stato Direttore editoriale di Artemagazine, quotidiano on line di arte e mostre di cui era Direttore responsabile Paolo Madron, che ha contribuito a fondare.
Opere
I forzati dell’ordine: l’Italia delle molte polizie, Marsilio, 1977.
Tutti gli uomini dell’Antilope, il caso Lockheed, Mondadori, 1977;
Angioni: noi a Beirut, prefazioni di Sandro Pertini e Giovanni Spadolini, Adnkronos libri, 1984.
Pietra su pietra, dieci anni di restauri in Italia, prefazioni di Giovanni Spadolini, Giulio Andreotti,
Franco Nobili, Laterza, 1991.
Naia? No grazie, con Valdo Spini, Baldini & Castoldi, 1997.
Venezia, la fabbrica della cultura; tra istituzioni ed eventi, per l’Associazione Venezia 2000,
Marsilio, 2000.
(con altri) Tesori di Roma (1999), di Napoli (2000), di Venezia (2001), di Palermo (2002), di
Bologna (2003), di Torino (2004), di Genova (2005), e Tesori di città (2006), per Findomestic
Banca, Ed. Nardini, Firenze.
Venezia fabbrica d’arte, tra collezionismo ed esportazione, per l’Associazione Venezia 2000,
Marsilio, 2001.
(con altri) Jiménez Deredia nella Basilica di San Pietro a Roma, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera,
2001.
Dal 2002 al 2011 ha coordinato l’Almanacco di VeneziAltrove, Marsilio, Fondazione Venezia 2000 e
Fondazione di Venezia.
(con altri) Jiménez Deredia, Firenze, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2006.
I predatori dell’arte perduta, il saccheggio dell’archeologia in Italia, Skira, 2009.
Il Ghetto di Venezia, Slira, Mini Artbooks. 2010.
Postfazione a: Stefen Zweig, Il candelabro sepolto, Skira, 2013.
Andare per le città ideali, Il Mulino, 2016.
L’Italia dell’arte venduta: collezioni disperse, capolavori venduti, Il Mulino, 2017.
1938, l’Italia razzista, Il Mulino, 2018.
1938, l’Italia razzista, Il Mulino, 2018.
Ha inoltre coordinato i cataloghi delle mostre “Oltre i sensi / Beyond the senses” del pittore Roberto Ferri, Londra e Roma, 2009, Skira 2009, e “La Ruta de la Paz, Deredia a Roma” dello scultore Jorge Jimenez Deredia, a Roma, 2009, Electa, 2009.
L’ITALIA DELL’ARTE VENDUTA
Collezioni disperse, capolavori fuggiti
Il collezionismo d’arte è un primato italiano. Ma tantissimi fra i gioielli più pregiati delle raccolte create nella penisola durante i secoli li possiamo ormai ammirare soltanto fuori dai nostri confini, o quando vengono prestati per qualche mostra. Una diaspora terribile, mai raccontata per intero.
Quadri, statue e sculture, libri e intere biblioteche, codici miniati, porcellane, mobili, manufatti pregiati: l’Italia ha sempre venduto la propria arte. Perché mutano i gusti, o perché i patrimoni vanno in rovina, e a chi per secoli ha commissionato o posseduto i capolavori spesso non resta che il blasone. È una storia che vale la pena di narrare, al di là delle catastrofi causate dai conflitti, sempre irrispettosi dell’arte, o dei criminali scavi archeologici che alimentano i lucrosi mercati internazionali. Questa grande fuga ha condotto infinite opere di valore fuori dal nostro paese: a poco vale consolarsi con il tantissimo che ci è rimasto, se non si riflette sul moltissimo che è sparito.