di Marcello Tosi, Corriere Romagna
Con “Girolamo Amati (1768-1834), filologo, primo ellenista d’Italia e del suo tempo” (Ponte Vecchio editore) si completa a cura del giornalista e scrittore Edoardo Maurizio Turci, dopo i volumi aventi ad oggetto Bartolomeo Borghesi e Giulio Perticari, la trilogia dedicata ai fondatori della secolare e prestigiosa Accademia Rubiconia dei Filopatridi di Savignano.
Nata nel segno del dibattito secolare intorno alla questione della lingua nazionale, la Rubiconia sorse nel 1801 sulla scorta delle preesistente Accademia degli Incolti (nata alla metà del Seicento), divenendo centro della scuola classicista romagnola.
Turci, chi fu Girolamo Amati?
«Fratello maggiore dello scrittore ed erudito Basilio Amati, Girolamo fu avviato in giovanissima età dal padre Pasquale allo studio del greco e del latino. Nel 1786, trasferitosi a Ferrara, intraprese gli studi di diritto senza trascurare l’interesse per testi e monumenti antichi. Nel 1796, abbandonati gli studi giuridici, si trasferì a Roma come segretario di monsignor Caleppi. Nel 1798, per interessamento del conterraneo santarcangiolese Gaetano Marini, archivista e primo custode della Biblioteca apostolica, entrò all’Archivio vaticano ove si prodigò per la salvare gli antichi documenti durante le vicende burrascose Repubblica Romana nell’anno 1800. L’anno successivo fu nominato insegnante di greco all’Università La Sapienza. Dal 1804 alla morte, nella Biblioteca vaticana fu anche “scrittore di greco”».
Come si manifestò il suo interesse per l’erudizione?
«Collaborò lunga mente, dal 1820 al 1831, con il “Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti”, di cui fu anche promotore, dove pubblicò molti articoli su epigrafi e oggetti rinvenuti negli scavi archeologici di antichità greche romane ed egiziane. Sempre in ambito romano, nel 1802 aveva partecipato alla nascita della Catecia (colonia) Tiberina, di cui fu primo segretario, e che mantenne in stretto contatto con quella di Savignano. Alle sue riunioni presero parte le maggiori personalità culturali dell’epoca».
Quali furono le sue maggiori scoperte?
«In una famosa lettera del pubblicata nell’edizione del 1809 del Tratto del Sublime a cura di Benjamin Weiske. Amati notò che nella tavola di riepilogo del contenuto del Vaticanus Graecus 285 viene riportata la dicitura «Dionisio oppure Longino». Amati mise per primo in discussione la paternità dell’attribuzione del trattato a Dionigi di Alicarnasso, stimolando un dibattito non ancora concluso sulla datazione e la composizione dell’opera. Altra sua importante scoperta, quella del sistema di note tachigrafiche contenute nel famoso cod. Vat. Greco 1809, sorta di antico sistema stenografico».
Girolamo Amati apparve spesso una personalità di studioso schivo e riservato, cosa che gli alienò molte simpatie. Curiosamente con i suoi atteggiamenti accese anche la satira di Giuseppe Gioacchino Belli che dedicò a lui e all’Accademia Tiberina due sonetti della sua celebre raccolta: “La compaggnia de Santi-Petti” e “In morte de Geronimo nostro”, ovvero lo stesso Amati.